Posted By Donato Barone
Era solo un timore, ma oggi è diventato realtà: la COP 25 ha replicato il risultato della COP 15! Anzi, è andata addirittura peggio. La Conferenza di Madrid ha restituito un’immagine molto netta della realtà del mondo attuale, un mondo spaccato come non si vedeva dai tempi della guerra fredda. Un mondo in rapida evoluzione in cui si delineano nuovi equilibri geopolitici che si riverberano sugli eventi multilaterali come quello di Madrid.
A Madrid si pensava di poter implementare l’Accordo di Parigi. A Madrid si pensava di poter celebrare la definitiva vittoria del multilateralismo sulle particolarità nazionali. A Madrid si è scoperto, invece, che le sorti del mondo sono nelle mani di nuove potenze emergenti che condizioneranno lo sviluppo sociale ed economico del mondo. Secondo la narrativa dei media che, però, io ho sempre contestato, a Parigi si ottenne un risultato storico: tutto il mondo si era unito per combattere il cambiamento climatico. Era una pura e semplice illusione, in quanto l’Accordo di Parigi non vincolava nessuno. Era ed è un bel pacco, ma completamente vuoto. Chi sosteneva il contrario, oggi deve amaramente ammettere di sbagliarsi. Qualche osservatore che fino a ieri aveva boriosamente affermato che si poteva fare a meno degli USA di Trump nell’implementazione dell’Accordo di Parigi, oggi deve ammettere a denti stretti che, se nel prossimo novembre Trump sarà rieletto presidente, l’Accordo di Parigi è morto. Meglio tardi che mai.
Personalmente non sono né felice, né affranto dal fallimento della COP 25, mi limito a constatarlo e cerco di capire perché è successo. E’, infatti, universalmente riconosciuto che la COP 25 è stato un fallimento colossale. L’altra sera ho scritto, praticamente in diretta, l’articolo in cui adombravo il rischio di un fallimento della COP 25. Ebbene, ciò che accadeva sotto i miei occhi, rappresentava una plastica immagine del disastro imminente. Molti speravano in un improbabile miracolo, ma questo miracolo non c’è stato. Ciò che colpisce in questa vicenda, almeno per quel che mi riguarda, è l’incapacità di molti osservatori e, soprattutto scienziati ed attivisti, di comprendere in che direzione va il mondo. Pochi sembrano rendersi conto di ciò che è evidente: nessun Paese è intenzionato a suicidarsi per soddisfare i sostenitori di un’agenda politica ed economica che prevede lacrime e sangue per i propri cittadini, a vantaggio di cittadini (o, più probabilmente, classi dirigenti) di altri Stati. Non voglio assolutamente fare paragoni blasfemi, ma oltre duemila anni fa un Uomo cercò di spiegarci che questo era lo spirito giusto, per risolvere i problemi del mondo. Non ci riuscì e tutti sappiamo come andò a finire.
La Cina è oggi impegnata in una guerra (fortunatamente solo economica) con gli USA che si sta combattendo senza esclusione di colpi. Solo un ingenuo può pensare che la Cina sia disponibile ad indebolire il suo sistema economico produttivo, quando il suo nemico numero uno dichiara di voler continuare a giocare, ma senza rispettare le regole che varrebbero per la Cina. E stiamo parlando di due potenze che rappresentano quasi la metà delle emissioni globali di diossido di carbonio del mondo. Tirati fuori i primi due principali giocatori, chi è così folle da continuare a giocare secondo le regole che l’ONU vorrebbe imporre? Certamente non l’India, il Brasile o il Sud Africa che aspirano a ricoprire il ruolo di potenza regionale nelle rispettive aree di influenza. Men che meno la Russia che dal fossile trae buona parte delle risorse economiche necessarie a consentirle di riprendere il ruolo di primaria potenza globale. Resta l’Europa, ma, come ebbi a dire qualche settimana fa, nel primo articolo dedicato alla COP 25, l’Europa rappresenta meno del dieci per cento delle emissioni mondiali e, quindi, non conta praticamente nulla. I fatti mi hanno dato ragione, il resto sono chiacchiere.
Ieri, domenica 15 dicembre, alle 13,30 circa si è finalmente chiusa la Conferenza delle Parti più lunga di sempre. Chi ha voglia e tempo di analizzare in dettaglio gli esiti dei lavori, può leggersi i documenti pubblicati oggi dall’UNFCCC. Per chi non ne abbia voglia, provo a fare un breve riepilogo.
Nessun accordo sull’art. 6 dell’Accordo di Parigi. Tutto rinviato alla prossima COP. La distanza tra la posizione delle Parti è stata inconciliabile. Cina, Australia, India, Brasile, Sud Africa ed altri Stati non hanno voluto rinunciare alle loro richieste relativamente al doppio conteggio delle unità di conto del carbonio (Brasile) e/o alle unità di carbonio calcolate sotto il regime del Protocollo di Kyoto, da utilizzare a parziale o totale scomputo delle unità di carbonio calcolate secondo il regime dell’Accordo di Parigi (Australia, Cina, India, Brasile e Sud Africa). D’altro canto i Paesi facenti parte del gruppo degli ambiziosi (una trentina, tra Paesi in via di sviluppo e molti Paesi dell’E.U.), non hanno voluto rinunciare a difendere l’integrità ambientale dell’Accordo di Parigi, messa a dura prova dalle richieste di Cina e compagnia.
Nessun accordo sul Meccanismo di Varsavia (loss & damage) in quanto i Paesi sviluppati (USA in testa) non ne hanno voluto sapere di accollarsi la responsabilità storica dei danni e delle perdite presunte, subite dai Paesi in via di sviluppo a causa del cambiamento climatico.
Nessun accordo sugli aggiornamenti degli NDCs, in quanto alcuni Paesi tra cui Cina, Brasile ed India, hanno dichiarato apertamente, sin dallo scorso giovedì, che non erano in grado di garantire impegni maggiori di quelli assunti a Parigi. E’ stato raggiunto un accordo di massima, battezzato pomposamente Chile-Madrid Time for Action, in cui i Paesi aderenti promettono di presentare, nel corso del prossimo anno, obiettivi più ambiziosi in termini di riduzione delle emissioni, ma non è assolutamente vincolante, quindi lascia il tempo che trova. Sorprende che per qualche giornalista esso rappresenti un impegno vincolante per i Paesi che hanno aderito all’Accordo di Parigi.
Sui tre principali punti oggetto di discussione alla COP 25, non è stato raggiunto, quindi, il necessario consenso e, pertanto, tutto è rinviato al prossimo anno. Sul problema della salvaguardia dei diritti umani, secondo alcuni, c’è stato addirittura qualche passo indietro, rispetto a quanto stabilito nella COP 24 dello scorso anno, in quanto il riferimento ai diritti umani è sparito dalle bozze di accordo elaborate dai delegati o è relegato nei preamboli che, però, non sono vincolanti .
In mezzo a tanto sfacelo un unico risultato: la COP 25 ha approvato il documento che stabilisce la necessità di tutelare la parità di genere, nelle iniziative di mitigazione ed adattamento intraprese dalle Parti.
Nel corso delle prossime settimane si scriveranno migliaia di pagine di documenti per cercare di analizzare i risultati di questo sfortunato vertice: nato sotto una cattiva stella e finito nel peggiore dei modi possibili. Ognuno di questi documenti rispecchierà le diverse posizioni ideologiche dell’estensore e, quindi, perpetuerà la polemica circa le responsabilità del fallimento del summit climatico. Peccando un po’ di presunzione, vi esorto a ricordare gli articoli che ho scritto in questi giorni: ho cercato di restituire uno spaccato quanto più fedele ed obbiettivo possibile dei lavori della COP 25, basato sui documenti ufficiali e non sulle chiacchiere di corridoio.
Alla fine di questo lungo e snervante lavoro di analisi e di sintesi, è mia intenzione rivolgere un doveroso omaggio al dr. Simon Evans di Carbonbrief.org. Ho imparato ad apprezzarlo attraverso i commenti che appaiono sul suo profilo twitter e, senza tema di smentita, posso assicurarvi che senza di lui questi articoli sarebbero un mero elenco di fatterelli più o meno interessanti. La sua guida è stata preziosissima nella decrittazione dei documenti dell’UNFCCC. E’ un convinto sostenitore della necessità di porre in atto delle misure di mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, ma la sua onestà intellettuale è tale che, anche uno scettico come me, non può fare a meno della sua opera preziosissima.
Arrivederci alla COP 26.
FONTE: climatemonitor.it